martedì 17 dicembre 2013

IL "GLOW" SINONIMO DI TRASPARENZA PER LE BANCHE


BANCHE: SE CERCHI LA TRASPARENZA, SEGUI IL “GLOW”
Firmato accordo Consumatori-Abi per localizzare con rapidità le informazioni di trasparenza sui siti web

Sono sempre più numerosi i consumatori che aprono conti correnti online o che comunque accedono al sito internet della propria banca per effettuare operazioni o cercare informazioni.

L’accordo siglato in questi giorni dalle Associazioni Consumatori con l’Associazione bancaria italiana (Abi), è dedicato proprio ai cyber-clienti,

Il protocollo ha stabilito le Linee guida da seguire per far fruire con rapidità e semplicità al consumatore tutte le informazioni relative alla trasparenza nel suo rapporto con la banca.
I documenti di trasparenza dovranno risultare fruibili attraverso questi 5 criteri:

-visibilità del link relativo in homepage

-accesso ai documenti in pochi clic

-facile fruibilità delle pagine interne contenenti le informazioni

-linguaggio semplice e chiaro

-accessibilità, visibilità e download dei documenti facile e veloce anche  nelle pagine interne del web.

Tali documenti sono individuabili da un’icona che raffigura un bagliore (glow in inglese), simbolo che indica appunto la trasparenza.

PILLOLE INGANNEVOLI


PILLOLE MIRACOLOSE, ROBA DA NON CREDERE!
Multe dell’Antitrust a 6 società

Giornali e siti web pullulano di pubblicità di pillole che giurano e spergiurano di far perdere in pochi giorni i chili in eccesso o di far restare per sempre giovani. Chi non è rimasto ammaliato almeno una volta nella vita da tali pubblicità? 

Purtroppo il più delle volte si tratta di pubblicità  ingannevoli che tutto fanno (in primis spillare soldi ai consumatori!) tranne che far dimagrire o mantenere giovani per l’eternità! 

A mettere in luce l’ingannevolezza di tali messaggi ci ha pensato l’Antitrust, l’Autorità per la concorrenza e il mercato, che nel Bollettino n° 49 ha reso noto di aver multato 6 società per un importo complessivo di più di 1 milione di euro per pratiche commerciali scorrette.

Ecco l’elenco delle società multate:

Centum:                                        300.000 euro
Xenalis :                                       150.000 euro
New Service Media:                    150.000 euro
Quadratum:                                   150.000 euro
Royal Marketing Management:   150.000 euro
Cento:                                            120.000 euro

LA GARANZIA LEGALE DEI BENI DI CONSUMO


LO STRANO CASO DELLA GARANZIA LEGALE DEI BENI DI CONSUMO
Informativa dell’Antitrust per ricordare i nostri diritti

Il riconoscimento della garanzia legale di 24 mesi per i beni di consumo acquistati dai consumatori ha rappresentato una delle più importanti vittorie per le associazioni dei consumatori.

Purtroppo la normativa ha trovato molte resistenze ed è stata spesso soggetta ad interpretazioni varie, causando, dalla sua entrata in vigore, molti contenziosi tra consumatori e aziende.

Non ultimi, alcuni casi di contratti tra consumatori e professionisti in cui sono state inserite clausole riguardanti limitazioni alla durata della garanzia legale che è di 24 mesi o addirittura l’esclusione della garanzia. 

Proprio in merito a questi contratti l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) ha pubblicato sul suo sito un’informativa sulla garanzia legale di conformità, in cui si attesta che tali clausole sono vessatorie. Pertanto l’Autorità precisa che tali contratti saranno oggetto di accertamenti che comporteranno l’adozione di misure atte ad informare i consumatori.

Il consiglio per i consumatori è di non sottoscrivere tali tipi di contratti.

giovedì 5 dicembre 2013

SE HAI DUBBI SULLA GENUINITÀ DI UN PRODOTTO ALIMENTARE RIVOLGITI AI NAC DEI CARABINIERI!


DUBBI SULLA GENUINITÀ DI UN PRODOTTO ALIMENTARE? RIVOLGITI AI NAC DEI CARABINIERI!

I NAC (Nuclei Antifrodi Carabinieri) sono un Reparto Specializzato dell’Arma dei Carabinieri che fa  capo al Ministero delle politiche agricole e forestali. I compiti del Reparto consistono nel combattere le  frodi comunitarie  e l’ “agropirateria”, con particolare riguardo alle contraffazioni dei marchi di qualità e del “Made in Italy” alimentare.
Nel caso nutriste dei dubbi sulla regolarità di un prodotto o voleste chiedere informazioni on esitate a 
contattare i NAC:
telefonando al numero verde 800 020320
inviando una mail a: 
mentre per informazioni generali è possibile consultare il sito istituzionale del Reparto al  linkhttp://www.carabinieri.it/Internet/Cittadino/consigli/tematici/ 

Per casi gravi e urgenti ci si può rivolgere anche ad una delle oltre 4600 Stazioni Carabinieri. 

EQUITALIA: CARTELLE RATEIZZATE IN 10 ANNI


EQUITALIA: COME FARE PER PAGARE IN 10 ANNI
Istruzioni per usufruire della rateazione a 120 rate

La possibilità di pagare i propri debiti con Equitalia fino a 10 anni è ora realtà! 

È stato infatti pubblicato nella Gazzetta ufficiale il decreto attuativo che ha modificato le modalità della riscossione e della rateizzazione di Equitalia, estendendo quest’ultima da 72 (6 anni) a 120 rate (10 anni).
Naturalmente la rateazione di una qualsiasi cifra richiede la redazione di un piano di rientro dal debito con nuovi importi che la famiglia sia in grado di onorare.

Nel contesto di Equitalia, vigono due rateazioni:

•la rateazione a 72 rate con un piano di rientro ordinario
•la rateazione a 120 rate con un piano di rientro straordinario

Chi può presentare la domanda 

•Sia i consumatori che le aziende

A chi si presenta la domanda

•Direttamente a Equitalia, che è il concessionario pubblico della riscossione nel nostro Paese.

Quali criteri per accedere alla rateazione a 120 rate

Conditio sine qua non è che l’indisponibilità a pagare del richiedente sia la diretta conseguenza della drammatica congiuntura economica e non di comportamenti irresponsabili del consumatore.

La regola pratica per che può accedere e chi no è che:

•il rapporto tra l’importo della rata e il reddito (documentato dal certificato ISEE) sia superiore al 20 per cento.

Qual è l’importo delle rate

•La rata minima è, salvo eccezioni, di 100 euro
•Le rate sono di importo costante

Quando decade la rateazione

•Dopo il mancato pagamento di 8 rate anche non consecutive

È possibile prorogare la rateazione?

Sì. Nel caso in cui si chiede una rateazione a 120 rate, bisogna documentare l’effettivo stato di bisogno.

Rateazione e ipoteca

In caso di ottenimento della rateazione, Equitalia non può procedere all’ipoteca.

Rateazione e pignoramento

Pignoramento casa:

•prima casa impignorabile (tranne per le abitazioni di lusso), se è l’unico immobile di proprietà del richiedente.

Pignoramento stipendio:

•ultimo stipendio impignorabile

lunedì 21 ottobre 2013

INTERESSI USURAI: ANCHE LA POLIZZA A GARANZIA DEL MUTUO RIENTRA NEL CALCOLO


INTERESSI USURAI: ANCHE LA POLIZZA A GARANZIA DEL MUTUO RIENTRA NEL CALCOLO
La Corte di Appello di Milano in favore dei clienti delle banche

La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 3283 del 2013, ha stabilito che la determinazione del tasso soglia ai fini della verifica dell’usura deve essere effettuata tenendo conto di tutte le spese relative al contratto di finanziamento. 

Nel caso di specie, già il giudice di primo grado aveva dichiarato nulle le clausole di un contratto di finanziamento relative agli interessi, in quanto il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) non teneva conto di tutte le spese relative al contratto: in particolare, erano state escluse le spese riguardanti la polizza assicurativa a garanzia del rimborso del mutuo.

La Corte di Appello, seguendo la linea interpretativa del giudice di primo grado, ha respinto l’appello della società finanziaria e ha chiarito che “la determinazione del tasso ai fini della indagine sulla usura deve essere condotta tenendo conto di commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse solo quelle per imposte e tasse collegate alla erogazione del credito. Ritiene la Corte che, in tale prospettiva debba essere ricompresa nel calcolo del tasso praticato anche la polizza assicurativa finalizzata alla garanzia del rimborso del mutuo, atteso che essa è condizione necessaria per l’erogazione del credito ed attesa altresì, la sua natura remunerativa sia pure in via indiretta, per il mutuante.”

TRENO IN RITARDO PER “CAUSA DI FORZA MAGGIORE”? SI AL RIMBORSO


TRENO IN RITARDO PER “CAUSA DI FORZA MAGGIORE”? SI AL RIMBORSO
La Corte di Giustizia Ue interviene con una sentenza in favore dei viaggiatori

Importante pronuncia della Corte di Giustizia europea sui diritti dei passeggeri ferroviari, in particolare sul diritto al rimborso del prezzo del biglietto in caso di ritardo del treno.

Decidendo sul ricorso di un cittadino austriaco, la Corte ha chiarito che, come prevede il Regolamento sui diritti e gli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario, il passeggero che subisce un ritardo pari o superiore a 1 ora può sempre chiedere il rimborso (parziale) del biglietto.
Rimborso che corrisponde almeno al 25% del prezzo del biglietto, nel caso di ritardo compreso tra 60 e 119 minuti, e al 50% nel caso di ritardo di 120 minuti o superiore. 

Nessuna eccezione, quindi, per i casi in cui il ritardo sia dovuto ad un caso di forza maggiore, cioè per una causa del tutto estranea alla compagnia ferroviaria. Di conseguenza, le compagnie non possono neanche inserire, nelle proprie condizioni contrattuali, nessuna clausola che le esoneri dal rimborso al verificarsi di circostanze del genere.

Ciò che può essere escluso, nel caso di ritardo dovuto a forza maggiore, è solo il diritto al risarcimento del danno (in base alle regole uniformi dei contratti di trasporto internazionale) ma non il rimborso parziale del biglietto.

BANCHE, ACCESSO AI DATI PERSONALI ENTRO 15 GIORNI


BANCHE, ACCESSO AI DATI PERSONALI ENTRO 15 GIORNI

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18555/2013, ha sancito il diritto del cliente bancario a ricevere in tempi brevi le informazioni circa il contenuto delle segnalazioni negative emesse a suo carico dagli istituti di credito.

Nello specifico, la Corte si è pronunciata sul caso di un cliente che aveva inoltrato ad una banca – senza ricevere risposta – un’istanza di accesso ai propri dati personali, temendo di essere stato segnalato alla Centrale Rischi della Banca d’Italia.

Richiamando la giurisprudenza recente, la Corte ha confermato che la richiesta di accesso ai propri dati personali deve essere soddisfatta “senza ritardo” da parte del soggetto destinatario, titolare del trattamento dei dati stessi. Più precisamente, ha stabilito che il cliente ha diritto a ricevere una risposta della banca entro 15 giorni: termine considerato “congruo” anche per mettere a disposizione dell’interessato la documentazione che contiene le informazioni richieste (il titolare del trattamento, infatti, non può limitarsi a dare una mera conferma dell’esistenza dei dati).

Il termine di 15 giorni richiamato dalla Corte (previsto dal D.lgs. 196/2003) ha infatti lo scopo di "garantire, a tutela della dignità e riservatezza del soggetto interessato, la verifica dell'avvenuto inserimento, della permanenza, ovvero della rimozione" di dati personali, e ciò indipendentemente dalla circostanza che gli eventi in questione siano già stati portati in altro modo a conoscenza dell'interessato. Verifica che, secondo la Corte, può essere attuata “mediante l’accesso ai dati raccolti sulla propria persona in ogni e qualsiasi momento della propria vita di relazione”.

sabato 5 ottobre 2013

Flussi migratori: vittime e mandanti


di Federica Poddighe e Gianni Dessi - 05/10/2013

Fonte: testelibere 

 


Gli avvenimenti tragici di questi giorni, nel rammarico per l'ennesima strage nel Mediterraneo, riporta drammaticamente alla ribalta l’emergenza degli sbarchi di immigrati clandestini sulle nostre coste. Già questa estate, con la visita del Pontefice a Lampedusa, così come i precedenti disordini scoppiati fra immigrati e abitanti dell’isola. Sebbene pochi si siano soffermati su questo aspetto, si deve sottolineare come le parole di solidarietà, fratellanza indirizzate dal Papa agli immigrati e le sue manifestazioni di gratitudine e lode verso gli abitanti dell’isola per l’accoglienza ai più sfortunati, non possano che scontrarsi con una realtà che nella piccola Lampedusa mostra ormai i suoi effetti più drammatici. Perché, come era inevitabile che accadesse, si sta assistendo ad una contrapposizione fra “disperati”. Da una parte la disperazione di chi lascia la propria terra (uomini, donne e bambini) nella speranza di un futuro migliore e di una vita più dignitosa e si ritrova a sostare per un periodo indeterminato in centri di prima accoglienza assolutamente inadeguati per capacità di contenimento che, di conseguenza, finiscono per assumere le caratteristiche di “lager” in cui gli occupanti versano in condizioni igieniche e di vita inaccettabili. Dall’altra la disperazione di una piccola isola che ha sempre vissuto di turismo che si trova a fare i conti con un’emergenza umanitaria che la sovrasta e rispetto alla quale gli abitanti si sentono abbandonati a se stessi.
Perché se le parole “solidarietà” e “accoglienza” hanno un proprio, nobile significato quando si parla di scelte circoscritte, di situazioni contingenti, di numeri contenuti, di fronte allo spostamento – ormai in atto da tempo – di grandi masse di individui, da una parte all’altra del mondo, questi concetti divengono inadeguati. Opportuno appare, pertanto, il richiamo ad un comune senso di responsabilità, che non investa unicamente le località o i Paesi di immediata destinazione degli immigrati e opportuna appare anche la menzione del concetto di “globalizzazione dell’indifferenza”: non si può, infatti, affrontare concretamente il problema dei flussi migratori senza comprenderne a fondo la vera natura e le cause che lo generano.
Qualunque ipotesi di intervento sul dramma degli sbarchi massivi di immigrati sulle coste del Mediterraneo non può prescindere dalla constatazione che i flussi migratori sono l’effetto diretto dell’attuale modello di crescita e sviluppo capitalistico e ad esso sono strettamente funzionali. In passato, dalla campagna alla città, poi dal meridione al settentrione; oggi, dal sud del mondo verso i paesi industrializzati ormai in declino. Qualcuno ha voluto vedere in questo fenomeno una sorta di contrappasso dell’esperienza colonialista europea nei Paesi di provenienza dei flussi migratori, ma questa lettura induce ad un errore di fondo (ammesso che di errore si tratti..) sostanziale e pericoloso: l’idea che tale esperienza colonialista possa considerarsi archiviata. Non è così, a nostro avviso: i flussi migratori massicci garantiscono ad un sistema condannato alla continua espansione manodopera a bassissimo costo e nuovi consumatori, in concomitanza con l'avanzare della globalizzazione e la sua necessità di operare su mercati globali. Questo disegno è perseguito dalle èlite politico-finanziarie, facenti capo alla grande finanza mondiale, che attualmente si identifica con le potenze di Usa, Israele e i loro alleati/satelliti - occidentali e non - tra cui anche l'attuale Unione Europea. La strategia per la creazione di un unico mercato globale, dove poter imporre un monopolio politico, finanziario, economico e culturale, mira ad ottenere dapprima il controllo economico e politico sulle nazioni e poi abbatterle definitivamente, eliminando ogni ostacolo alla sua realizzazione. E qui entra in gioco il concetto di “neo-colonialismo”: il mezzo utilizzato per la realizzazione del suddetto fine è quello delle leve finanziarie e militari: la generazione artificiosa e il possesso del debito, da una parte; l'azione militare diretta e - in alternativa - la creazione del caos permanente mediante il finanziamento e l'innesco di guerre civili e secessioni, dall’altra, in specie nel caso in cui il Paese oggetto di “attenzioni” non si presti facilmente e volontariamente al primo mezzo di coercizione. Al controllo "de facto", segue l'inevitabile depredazione delle risorse naturali e delle capacità produttive, ivi compresa la forza lavoro, sfruttata sia impiantando in loco le produzioni a basso costo (delocalizzazione), sia incentivando esportazione di manodopera verso i Paesi ad economia "avanzata".
E’ questa politica predatoria che, non consentendo alle popolazioni del sud del mondo di poter vivere delle proprie economie, esercita quella fortissima pressione - anche propagandistica - volta a spingere enormi masse di individui a cercar miglior fortuna altrove, affidandosi quasi sempre a efferati contrabbandieri di carne umana, pronti a disfarsi del loro carico, una volta ricevuto il pagamento e qualora lo stesso possa risultare per loro compromettente.
Gli effetti per le società coinvolte, sia quelle di destinazione che di partenza dei flussi, sono devastanti. Oltre a generare impoverimento e dipendenza economica nelle zone d’emigrazione, producono squilibri ed effetti analoghi nelle società di approdo: destrutturazione delle società autoctone, ribaltamento di modi di vita e produzione, annientamento delle diversità culturali e dei modelli politici nazionali da essa espressi.
Infatti, nei luoghi di destinazione dell'immigrazione, l’effetto che si viene a produrre è duplice:

- Dal punto di vista sociale, l’inevitabile appiattimento delle culture e delle tradizioni, in favore di un nuovo “meticciato” mono-culturale improntato su un unico modello consumistico ( leggersi il piano Kalergi illumina..);
- Dal punto di vista economico, si alimenta il cosiddetto “dumping sociale”.
Quest’ultimo fenomeno viene ben sintetizzato nelle parole di M. Pallante, che lo definisce come quella pratica che “ consente di instaurare una concorrenza al ribasso delle paghe, mettendo appunto in competizione la classe debole e ricattabile composta sia da immigrati che da autoctoni, avviando una guerra tra poveri con un ulteriore aggravamento dell'impoverimento generale, piuttosto che di un aumento di benessere in favore dei nuovi arrivati”.
In definitiva, il fenomeno migratorio è da considerarsi parte integrante di una complessa strategia finalizzata a generare la completa dipendenza dei popoli dai possessori delle materie prime e della produzione, sempre più concentrati in pochi oligopolisti mondiali.

Proprio l’opposizione alla nefasta e criminale globalizzazione - nonché alle cosiddette “politiche dell’accoglienza ed integrazione”, veri e propri palliativi ad essa funzionali – può e deve essere il fattore decisivo nel contenimento dei fenomeni migratori che hanno raggiunto ormai proporzioni inquietanti.
Se possono essere fatte salve le parole di fratellanza per i nuovi arrivati e di pietas per le innocenti vittime di questo ignobile traffico di esseri umani, pronunciate nella sua veste di capo religioso da Bergoglio, non può non ritenersi pericoloso, oltreché pretestuoso, l’indirizzo in materia di immigrazione, dell’attuale governo italiano, l’ennesimo istituito per conto terzi.
Le attuali condizioni economiche del Paese, infatti, non possono assolutamente garantire la possibilità alla nostra provata e compromessa situazione economica la capacità di farsi carico dell’accoglienza entro i propri confini di massicci flussi migratori di persone a cui assicurare condizioni di vita dignitose e non la certezza di un’esistenza ai margini della società, ovvero della legalità. Per identiche ragioni appara chiaramente impraticabile e insostenibile su larga scala la via dello ius soli , ovvero il riconoscimento automatico della cittadinanza italiana ai nuovi nati nel territorio nazionale, sebbene da genitori stranieri. Diritto, giova ricordarlo, riconosciuto perlopiù unicamente in quei Paesi (America del Nord e del Sud; Australia) che sono stati popolati a seguito della massiccia immigrazione, voluta e invogliata, ma sempre gestita e controllata. Nazioni giovani, ricche di opportunità e risorse, che necessitavano di manodopera, cervelli, capitali e lavoratori per lo sviluppo economico. Paesi che non hanno esitato a sterminare le popolazioni autoctone (Indiani D’America, Maori, etc) per soppiantarle con masse allogene in cerca di fortuna e più funzionali al progetto di fondo.
In ogni caso, la nostra situazione è ben diversa, se non opposta. Quali garanzie potrebbe assicurare ai nuovi venuti o ai nuovi nati stranieri un Paese come l’Italia in cui gli stessi indigeni - falcidiati dalla crisi indotta e dalle politiche economiche e monetarie scellerate - si vedono costretti a sopravvivere a malapena, assistendo - tra fallimenti e suicidi - all'erodersi di tutte le minime conquiste sociali faticosamente raggiunte nel corso di decenni?
Come mai, le stesse forze che hanno creato ciò, ci inducono, con violenza verbale e giudiziaria, ad accettare politiche immigratorie illogiche e suicide?
I nostri Ministri Kyenge e Boldrini, votate alla causa mondialista ben più che a quella italiana, non passa giorno che non ci ricordino che “l’immigrazione è una necessaria risorsa” e che “siamo un paese di vecchi (razzisti), da ringiovanire”. Guai a dire o pensare il contrario. E’ vero che siamo un paese destinato ad invecchiare, come è vero che l’incertezza economica e la mancanza di tutele adeguate alla maternità e alla famiglia ne sono la causa principale. L’azione culturale disgregatrice dell’unità familiare, il disprezzo per la donna madre e casalinga, espresso dalla Presidente Boldrini ne è un chiaro esempio.
In Italia, a maggio 2013, il tasso di disoccupazione è stato pari al 12,2%, + 0,2% rispetto ad aprile 2013. Gli inoccupati salgono a 3.140.000 (ISTAT 1 luglio 2013). La disoccupazione giovanile (15-24 anni) a maggio 2013 è stata pari al 38,5%. I "Neet" (Not in Education, Employment or Training), cioè i giovani che non studiano, non lavorano e non cercano un occupazione, sono arrivati a oltre il 23%. Servono altri giovani stranieri per cosa, se non per aumentare la disoccupazione giovanile, precariato e concorrenza al ribasso?
Il 53% degli italiani non riesce a mantenere la famiglia con il suo reddito ed il 77% dei pensionati percepisce meno di mille euro al mese. Vantiamo “8,2 milioni di poveri , quasi 4 milioni mangiano grazie ai pacchi alimentari”. Potremo snocciolare decine di freddi dati statistici, ma basterebbe stare tra le persone normali per capire la situazione. Il “buonismo” ingannevole, non risolve e non affronta il problema, ma lo aggrava volutamente e scientemente.
In questa situazione, non è lontanamente pensabile il poter garantire una vita dignitosa, lavoro e stato sociale, a masse di indigenti che si riverserebbero in Italia con irrealizzabili aspettative e speranze, si creerebbe unicamente una corsa al ribasso dei salari e delle condizioni di lavoro, una massa povera disposta ad accettare tutto, costringendo alla medesima abnegazione anche gli stessi italiani.
La frustrazione e la delusione (palesi nei ripetuti episodi di violenza e rivolta già verificatisi e richiamati in parte anche in premessa), si trasformerebbero in elementi di costante tensione sociale, con l’inevitabile formazione di sacche di emarginazione, da cui attingerebbe manovalanza la criminalità e il lavoro nero.
Il progressivo depauperamento e forse l’annullamento finale dei servizi, soprattutto socio – assistenziali, sarebbe generalizzato, dall'istruzione alla sanità. Per non parlare della reciproca perdita di identità culturale e del pericolo dell’esasperazione e del fanatismo religioso che in queste situazioni di disagio si diffonde e prospera. Un pericolo molto più concreto di ciò che non si creda, su cui bisogna vigilare, pur evitando qualunque stereotipo razzista, xenofobo e islamofobico .
Quando poi, in questo quadro di desolante disperazione e malessere, si spacciano per soluzioni del problema provvedimenti come: “riservare posti di lavoro agli immigrati” (cit. Kyenge), “favorire gli immigrati nell’assegnazione degli alloggi comunali”(es. Ravenna e Trento) o riservargliene di nuovi (es. Cagliari), giustificarne i reati (es. Kabobo) e assolverne gli autori, fornirgli i diritti senza chiedere mai i doveri…. Siamo di fronte ad una sgradevolissima discriminazione al contrario ( se mai esistesse un "giusto" verso, e così ovviamente non e'), tendente in maniera evidente ad alimentare solo l'odio e il razzismo, in una guerra tra poveri destinata a creare fratture e scontri sociali. Siamo davanti ad una vera e propria incitazione all’odio razziale e alla guerra civile.
Non interrogarsi sulle conseguenze di un simile progetto, è un lusso che il popolo italiano non si può proprio permettere. Tornare indietro, sarà impossibile.
Riteniamo, infine, che se è corretto che, chi cerca asilo politico e rifugio nel nostro paese debba essere accolto e messo nelle condizioni di vivere con dignità e rispetto, è anche vero che bisogna denunciare, con forza e senza ipocrisia, il mercato degli schiavi che si nasconde dietro un diritto umanitario di facciata, voluto e fomentato ad arte. I migranti vengono, infatti, recuperati ai margini del mare territoriale libico, portati in Italia, successivamente mantenuti dai contribuenti, e poi lasciati al loro destino. Un vero e proprio business non nascosto della forza lavoro, irregolare ed a basso costo.
Il nostro fermo convincimento è che la sola soluzione possibile al problema globale dei flussi migratori, passi inevitabilmente dalla rimozione delle cause sistemiche che l’anno prodotta: dentro questo sistema, l’immigrazione è inarrestabile perché è conseguenza dell’esistenza del sistema stesso. 

sabato 7 settembre 2013

L'UNGHERIA ESCE DALLA CRISI ECONOMICA E CACCIA IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE

Il governo di Viktor Orban recupera la sovranità monetaria e mette il piede sull'acceleratore economico
di Federico Campoli
E' stato oggetto dei più violenti attacchi da parte di tutta Europa. E' stato chiamato dittatore, illiberale, fascista, razzista, anti-democratico. Avevano detto che le ricette per il suo Paese avrebbero portato l'Ungheria al disastro. Viktor Orban, però, non si è mai arreso. Negli ultimi tempi, il premier magiaro ha affrontato apertamente il Consiglio Europeo, rispondendo ad alcune delle tante accuse che gli erano state mosse. Poi, ha avviato i procedimenti per cacciare il Fondo Monetario Internazionale dal Paese. Una mossa che ha lasciato interdetti gli eurocrati, che già sghignazzavano all'idea di un'Ungheria che non sarebbe riuscita a colmare il suo debito nei confronti dell'Ue e del Fmi. Invece, a sorpresa, Budapest ha riconsegnato i 20 miliardi di euro, avuti nel 2008. Tre giorni fa, infatti, è stata pagata l'ultima rata da 2,5 miliardi. E lo ha fatto con un anno di anticipo. Il governatore della Banca Centrale Magiara, Gyorgy Matolcsy, aveva già annunciato questa mossa esattamente un mese fa. Ora, la presenza del Fmi "non è più utile all'economia ungherese" dichiara. Perciò può levare le tende. Una vittoria per il governo di centro-destra. Ma i buoni risultati ottenuti dal Fidesz non finiscono qui. Un altro successo consiste nell'abbassamento del tasso di disoccupazione. Già nel 2012, il livello dei senza lavoro era passato dal 10,9% al 10,3%. L'Italia si barcamena attorno al 12, mentre la media europea non riesce a scendere sotto l'11. Eppure, per qualche strana ragione, il governo guidato dal partito di centro-destra, Fidesz, di ispirazione cattolica e nazionalpopolare, è stato fortemente criticato dalla stampa per "l'alto tasso di disoccupazione" e per il grande numero dei "cervelli in fuga". Sarà, forse, perché si è sempre rifiutato di seguire i diktat "salvifici" dell'Unione Europea. In ogni caso, non solo l'Ungheria ha ripagato il suo debito, ma si classifica anche tra i paesi fuori dalla zona recessione. Bisogna, poi, tenere presente che Matolcsy è uomo di Orban e quando è stato messo alla dirigenza della BCM tutti i media e le istituzioni dell'Ue hanno aperto un fuoco mediatico sul governo di Budapest, per via della nazionalizzazione della Banca Centrale.
"La Repubblica", quotidiano da sempre oppositore di Viktor Orban, proprio non ci sta e evidenzia come qualcuno susciti dubbi sulla provenienza del denaro restituito al Fmi. In effetti, sorge spontanea la domanda su come sia stata possibile questa crescita inaspettata. Le risposte sono molteplici. Si potrebbe dire che la "statalizzazione soft" della Banca Centrale Magiara abbia contribuito molto a quanto pare. Matolcsy, infatti, è uomo di Orban e quando è stato messo alla dirigenza della BCM tutti i media e le istituzioni dell'Ue hanno aperto un fuoco mediatico sul governo di Budapest. Senza parlare, poi, della sovranità monetaria (in Ungheria la moneta avente corso legale è il fiorino). Poi ci sono quelle mosse che vanno proprio controtendenza. Mentre l'Italia si prostra per ottenere investimenti esteri, Budapest ha fatto tutto il contrario. Ad esempio, ha impedito l'acquisto di terreni agricoli da parte degli stranieri, così da tenere lontani gli speculatori. In pratica, solo gli ungheresi adesso hanno diritto a coltivare la propria terra. Inoltre, il governo ha stanziato 80 milioni di euro in favore delle aziende agricole. Il che ha favorito l'export di frutta e ortaggi, che rappresenta circa la metà dell'intero settore delle esportazioni del Paese. Queste politiche, si presuppone che porteranno alla creazione di altri 100mila posti di lavoro. Ma l'agricoltura non è il solo punto forte dell'economia magiara. Anche la tassa sulle compagnie energetiche, la Robin Tax, si classifica come uno dei principali motivi della ripresa ungherese. In pratica, questa tassa ha permesso la ridistribuzione delle ricchezze fra i cittadini, favorendo anche i prestiti alle imprese. E come se non bastasse, Budapest ha stanziato altri 250 miliardi di fiorini alle banche, che però dovranno concedere a loro volta in prestito a tasso zero. E altrettanti miliardi sono poi stati depositati in un fondo che aiuterà le aziende ungheresi a convertire i loro debiti dalla valuta estera in fiorini. Insomma, nonostante le parole infuocate di Bruxelles contro Budapest, nonostante le "infallibili" ricette della troika, bisogna riconoscere che il nazionalismo, effettivamente, paga.

sabato 31 agosto 2013

Siria: il bluff dell'occidente rischia di trascinare il mondo nel baratro di Stefano Vernole - 29/08/2013 Fonte: eurasia







In queste ore drammatiche il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama deve decidere se concedere il via libera al piano di attacco elaborato dagli strateghi militari del Pentagono.
Questi ultimi, tutt’altro che convinti della necessità di entrare in guerra, hanno infatti predisposto un tipo di intervento (condotto con il lancio di missili Cruise dalle portaerei statunitensi) estremamente limitato, da esaurirsi nel giro di tre giorni e a zero perdite per i propri soldati.
Sembra in effetti la riedizione della guerra del Kosovo (1999) richiamata da alcuni analisti in questi giorni, in quanto anche allora l’ex capo della Casa Bianca Bill Clinton si illuse che dopo due o tre giorni di bombardamenti aerei della NATO l’ex Presidente serbo Slobodan Milosevic si sarebbe arreso.
Quell’aggressione, condotta col pretesto delle “motivazioni umanitarie” e senza il via libera delle Nazioni Unite, durò in realtà 78 giorni e produsse alcuni effetti destinati a cambiare la geopolitica mondiale.
Le ricadute più rilevanti si manifestarono paradossalmente in Russia (che vide nella disgregazione della ex Jugoslavia lo specchio di quanto le sarebbe accaduto a breve se non avesse reagito), dove i servizi di sicurezza decisero nello spazio di pochi mesi di liquidare il corrotto Boris Eltsin (da tempo asservito alle potenze occidentali) e di condurre alla guida del Cremlino Vladimir Putin, un Presidente che le avrebbe restituito orgoglio e dignità.
Da questo punto di vista si può dire che il sacrificio dei Serbi servì alla salvezza dei Russi.
Se quindi l’occupazione del Kosovo e Metohija servì agli USA quale nuovo trampolino di lancio verso il Mar Caspio e il Vicino e Medio Oriente, fu però proprio allora che iniziò quella strategia di riscossa delle potenze eurasiatiche che ha mutato profondamente gli equilibri geopolitici del pianeta.
I tentativi di spezzare l’alleanza tra Mosca e Pechino sono risultati vani e la resistenza della Siria di Assad negli ultimi due anni è uno dei tanti fattori che gioca a suo favore.
Oggi, sotto la spinta del rinnovato attivismo saudita e in particolare del suo capo dei servizi segreti Bandar Bin Sultan, gli Stati Uniti si trovano a giocare una partita estremamente complessa e pericolosa.
Complessa perché è chiaro che la rielezione di Obama è stata resa possibile solo dopo la sua accettazione dell’antico progetto bushiano, che prevede l’edificazione del Nuovo (Grande) Medio Oriente sotto controllo nordamericano.
Fallita la carta “morbida” giocata con le “rivoluzioni arabe”, non rimaneva all’Amministrazione statunitense che riaggrapparsi alla sua unica certezza, quella costituita da un apparato militare che – nonostante il declino strategico statunitense – continua a rimanere imponente.
Ecco quindi la guerra alla Libia di Gheddafi, l’aggressione alla Siria di Assad (delegata temporaneamente da Washington ai suoi alleati regionali), i colpi di stato e la destabilizzazione dei paesi africani come la Somalia, la Costa D’Avorio, il Mali e il Sudan per fronteggiare l’avanzata cinese.
Con la prospettiva finale di colpire e mutare l’Iran, con le buone e con le cattive maniere, per controllarne le risorse energetiche e stritolare le potenze eurasiatiche rendendole dipendenti dall’acquisto di dollari ormai “carta straccia”.
Partita complessa anche per motivi strettamente “tecnici”.
Tutte le dispendiose guerre condotte dal 1991 ad oggi non hanno portato a Washington i frutti sperati.
Che si tratti dell’Iraq, dove gli sciiti al governo non solo parteggiano per la Siria di Assad ma privilegiano Cina ed India nelle forniture di petrolio, che si tratti dell’Afghanistan dove il Presidente Karzai non vede l’ora di liberarsi del controllo statunitense per rivolgersi a Pechino e a Nuova Delhi, che si tratti della piccola Serbia o addirittura dell’Egitto che tornano a guardare verso Mosca, questi conflitti hanno esaurito la spinta propulsiva degli Stati Uniti e dimostrato la loro inadeguatezza quali leader mondiali.
L’economia USA si trova alle prese con una nuova scadenza che il prossimo mese la costringerà ad innalzare a 17.000 miliardi di dollari il tetto del proprio debito per evitare il fallimento del paese, mentre le principali banche nordamericane vengono declassate dalle stesse agenzie di rating statunitensi e la prospettiva di un ulteriore “settembre 2008” si avvicina pericolosamente.
Ma la partita che Obama si appresta a giocare è anche molto pericolosa.
Se questi probabili due-tre giorni di attacchi missilistici sulla Siria dovessero avere luogo, non è invece facilmente prevedibile quanto potrà accadere.
Il calcolo statunitense è riassumibile nella volontà e nella prospettiva, tutta mediatica, di voler riaffermare al mondo che gli Stati Uniti con i loro alleati sono ancora la guida del pianeta e che la sfida lanciata da Mosca e da Pechino – manifestatasi platealmente con il “caso Snowden” – può essere vinta.
Gli analisti del Council on Foreign Relations e del Pentagono ritengono che la Siria non disponga di misure di reazione efficaci e che dopo questa lezione “morale” pian piano il governo di Assad verrà sgretolato, subendo l’analoga sorte di quello guidato da Milosevic (deposto un anno dopo la fine dell’intervento militare).
Questo calcolo dimentica però il mutamento della situazione geopolitica rispetto al 1999; se allora la Serbia si trovava isolata e venne difesa solo diplomaticamente da Russia e Cina, oggi la Siria di Assad si trova in una situazione decisamente più favorevole.
Teheran, innanzitutto, è legata a Damasco da un’alleanza di carattere militare che in caso di aggressione statunitense si estenderebbe automaticamente anche a Hizbollah in Libano.
Israele, in particolare, si troverebbe esposto ad una possibile rappresaglia iraniana e quello che è stato progettato per essere un intervento limitato rischierebbe di trasformarsi in una guerra regionale dalle conseguenze imprevedibili.
Tel Aviv, che non dimentica la lezione ricevuta in Libano nel 2006 e la figuraccia rimediata a Gaza nel 2009, desidererebbe forse intraprendere una nuova avventura ma diverrebbe l’agnello sacrificale dell’imperialismo statunitense.
Difficilmente Turchia e Arabia Saudita, che a parole smaniano di venire alle mani con la Siria, potrebbero partecipare ad una coalizione a fianco dei soldati di Tel Aviv.
Le rappresaglie di Russia e Cina nei loro confronti, poi, potrebbero essere non solo economiche ma anche militari, e sia ad Ankara che a Riyad sanno bene come la loro alleanza con gli Stati Uniti non rivesta più per Washington un carattere strategico.
L’umiliazione subita dalla Georgia nel 2008 è ancora un vivo ricordo e solo dei disperati come Hollande e Cameron possono sperare di far dimenticare i propri guai interni con un nuovo conflitto.
Ecco quindi che Obama si trova alle prese con un dilemma tutt’altro che facile: essere un nuovo Gorbaciov e traghettare in maniera pacifica l’inevitabile ridimensionamento statunitense o sognare di essere un nuovo Roosevelt, nell’illusione che una rinnovata “economia di guerra” possa rilanciare un paese ormai industrialmente destrutturato e finanziariamente fallito.
Ai siriani il difficile e gravoso compito di resistere, per consentire l’emergere definitivo del nuovo sistema multipolare non più a guida angloamericana e nel quale le controversie internazionali potrebbero non essere più risolte a colpi di cannoniere.

mercoledì 28 agosto 2013

Siria ed Egitto come la Libia: islamisti campioni di inganni

I Fratelli musulmani hanno costruito notizie toccanti per spingere l'Occidente a (disastrosi) interventi.

 
La fiducia è una cosa seria. Riservata alle persone serie. Il rischio in Siria è, invece, di schierarci con chi si fa beffe della nostra fiducia, della nostra buona fede e della nostra disponibilità alla compassione. Tutti temi in cui la Fratellanza musulmana, artefice della ribellione, ha una consolidata tradizione.
Dalla Fratellanza musulmana nasce Hamas, l'organizzazione maestra nell'innescare le rappresaglie israeliane e moltiplicarne poi il numero delle vittime. Alla Fratellanza erano legati i militanti di Bengasi trasformati in protetti della Nato grazie alle «bufale» di Al Jazeera.
Alla Fratellanza appartengono i militanti egiziani pronti a piangere centinaia di «fratelli» caduti, ma anche a ospitare nei propri cortei - come documentano le foto esclusive de Il Giornale - gli armati chiamati a sparare sui militari e a innescarne la reazione.
E Fratelli musulmani sono quei rivoltosi siriani puntualissimi nel denunciare un attacco con i gas perfettamente «sincronizzato» con l'arrivo a Damasco degli ispettori Onu chiamati ad indagare sulle armi chimiche.

Hamas e le resurrezioni di Jenin e Gaza

Nell'aprile 2002 quattro militanti di Hamas portano a spalla una barella con un cadavere coperto da una bandiera dell'organizzazione nata da una costola della Fratellanza Musulmana. Siamo a Jenin, la città dove per dieci giorni Israele ha stretto d'assedio i militanti palestinesi. D'improvviso i quattro inciampano e barella e «defunto» franano a terra. A rialzarsi però non sono, come documentano le riprese di un drone israeliano, solo i quattro barellieri, ma anche il «cadavere» prontissimo a risaltare nella lettiga. La mesta processione precipita nuovamente nel grottesco quando i quattro tornano ad inciampare e il «morto» torna a «rialzarsi» terrorizzando un gruppo di civili convinti di aver davanti uno zombie. La farsa inscenata da Hamas per moltiplicare i 54 caduti palestinesi dell'assedio di Jenin si ripete negli anni a venire. L'ultima rappresentazione va in scena a Gaza nel novembre 2012. Anche lì una presunta vittima delle bombe israeliane, un uomo in giacca beige e maglietta nera trascinato dai soccorritori, riprende vita al termine delle immagini destinate alla Bbc. Poi si rialza, si guarda attorno e soddisfatto s'allontana.

Le finte fossi comuni di Al Jazeera in Libia

In Libia nel 2011 i video e le immagini fornite dai ribelli ad Al Jazeera e Al Arabya spingono le opinioni pubbliche occidentali ad appoggiare la richiesta di una «no fly zone» santificata dal voto dell'Onu e realizzata dalla Nato. I falsi storici con cui l'emittente del Qatar prepara il terreno a un intervento militare «indispensabile» per fermare i «massacri» di Gheddafi sono due. Il primo nel febbraio 2011 documenta un presunto intervento dei Mig del Colonnello scesi in picchiata nelle strade della capitale per mitragliare i dimostranti. La notizia è palesemente falsa, ma l'Occidente se la beve come un caffelatte a colazione. Così, subito dopo, si ritrova servite le immagini di un cimitero spacciato per fossa comune in cui verrebbero sepolti gli oppositori uccisi dalle milizie governative. Non è vero niente, ma intanto il Colonnello diventa un mostro sanguinario. Un mostro da eliminare con l'aiuto di un Occidente obbligato a difendere i più deboli e chiamato ad instaurare libertà e democrazia.

Egitto, i cortei armati dei Fratelli Musulmani

Queste foto, parte di un dossier esclusivo fornito a Il Giornale, dimostrano come la reazione dell'esercito sia stata innescata dai militanti di Hamas armati di pistole e kalashnikov. I militanti mascherati vengono mandati a sparare contro le postazioni dei militari dopo essersi mescolati ai cortei di protesta della Fratellanza Musulmana. Gli uomini armati utilizzano i dimostranti come scudo innescando la reazione dei militari che causerà centinaia di vittime. La presenza dei militanti armati cambia la dinamica di un massacro attribuito al cinismo di una cricca di generali pronta a tutto pur di costringere alla resa i sostenitori del deposto presidente Morsi.

Siria, il gas stermina i bimbi e risparmia i soccorritori

Le immagini di Ghouta, la località dove il governo avrebbe usato i gas sono devastanti dal punto di vista emozionale, ma assai ambigue dal punto di vista documentale. La contraddizione più evidente è la mancanza di protezioni da parte dei presunti sanitari arrivati a soccorrere le vittime. L'altra è la sistematica plateale teatralità con cui i bambini deceduti vengono allineati davanti agli obbiettivi. Ad Halabja nel marzo 1988 i gas di Saddam non fecero distinzione tra vittime e soccorritori e sterminarono chiunque non si fosse allontanato. A Ghouta nessuno fugge, non c'è un clima di panico e gli ospedali continuano a funzionare. L'impressione è di un attacco circostanziato e molto limitato. E questo fa sorgere due grossi interrogativi. Perché Assad avrebbe atteso due anni e mezzo prima di usare i gas salvo poi impiegarli sotto gli occhi degli osservatori dell'Onu? E soprattutto perché incominciare da una zona dove il regime non è militarmente in difficoltà e dove non viene sfruttato il vantaggio tattico offerto dall'arma chimica per riconquistare il territorio e nascondere le prove?
Fonte : Il Giornale del 27/08/2013

L'idea della Kyenge ora è legge: "Accesso all'impiego pubblico per chi ha il permesso di soggiorno"

Nel silenzio dell'estate è passata la modifica alla legge per l'accedere all'impiego pubblico. Ora rifugiati, immigrati senza cittadinanza potranno lavorare in scuole e ospedali

 

Dal 4 settembre anche chi non ha ancora la cittadinanza italiana potrà lavorare nella Pubblica Amministrazione. A spalancare le porte del pubblico impiego  agli immigrati è la legge europea 2013 che lo scorso 20 agosto è arrivata sulla nostra gazzetta ufficiale. La norma non lascia spazio ad interpretazioni e prevede l’accesso all’impiego nella Pubblica Amministrazione anche per chi ha un permesso di soggiorno di lungo periodo, lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria.
Non importa che chi lavori nella nostra amministrazione sia italiano. Per la legge europea basta il permesso di soggiorno. Una norma, quella recepita da Bruxelles con cui l’Italia si è allineata alla normativa dell’Unione Europea per evitare che scattasse la procedura d’infrazione. L’accelerazione per l’approvazione delle nuove norme comunitarie arriva anche dopo il pressing del ministro dell’Integrazione Cècile Kyenge, che prima a febbraio poi a maggio già voleva far entrare in vigore la legge per gli “immigrati statali” entro i primi 100 giorni di governo: «Intendo portare avanti una legge che sarà la garanzia di accesso per i migranti ai posti nella pubblica amministrazione, su esempio di ciò che furono in le americane affermative action, politiche già applicate in Gran Bretagna. È ora che si adegui anche l’Italia», aveva detto il ministro. Le sue parole ora sono legge. 
Va chiarito però un punto. La legge europea prevede che gli immigrati non possano ricoprire ruoli professionali che «implicano esercizio diretto o indiretto di poteri pubblici o che attengano alla tutela dell’interesse nazionale». Non potranno cioè fare i militari, i poliziotti o i magistrati. Però secondo il Centro Lavoratori Stranieri della Cgil di Modena «potranno  accedere ai concorsi per insegnante, impiegato comunale, medico o infermiere». Quindi secondo i sindacati le affermative act inglesi saranno applicate in salsa italiana. 
La legge d’Oltremanica prevede infatti misure di tutela con quote di impiego “bloccate” per chi appartiene a minoranze. Durante la discussione per l’approvazione della norma, Pd, Sel e M5S hanno presentato in commissione emendamenti per allargare le maglie del disegno di legge europea. La proposta dei democratici, poi bocciata, prevedeva l’accesso al pubblico impiego anche per gli immigrati «che siano titolari di un permesso di soggiorno che consente lo svolgimento di attività lavorativa». Una sorta di apertura totale del mercato del lavoro statale a tutti gli immigrati presenti sul nostro territorio. Se fosse passata la linea del Pd, per accedere ad un concorso pubblico sarebbe bastato un semplice permesso lavorativo senza i paletti imposti da Bruxelles che almeno prevedono una «lunga permanenza» nel Paese in questione prima di poter accedere agli impieghi statali. 
La legge europea parla chiaramente di tre tipologie di permesso. Il primo è quello a “lunga permanenza”. Questo tipo di permesso di soggiorno è a tempo indeterminato e può essere richiesto solo da chi possiede un ulteriore permesso di soggiorno da almeno 5 anni. Poi c’è il permesso di protezione sussidiaria, ha una validità di 3 anni e può essere richiesto da tutti coloro che non possono dimostrare una persecuzione personale ma si ritiene che rischino di subire un danno grave (condanna a morte, tortura, minaccia alla vita in caso di guerra interna o internazionale) se rientrassero nel proprio Paese. Infine c’è lo status di rifugiato che viene concesso secondo la convenzione di Ginevra a coloro che non possono o non vogliono tornare nel loro Paese perché temono persecuzioni. Per richiedere il riconoscimento dello “status di rifugiato” è necessario presentare una domanda motivata e documentata, con l’indicazione delle persecuzioni subite e delle possibili ritorsioni in caso di rientro nel proprio paese. 
Le buone notizie per gli immigrati non finiscono qui. Sempre dal 4 settembre, come sottolinea la Cgil, «chi ha un permesso di soggiorno e ha a carico almeno 3 figli, ed è a basso reddito avrà diritto all’assegno Inps per le famiglie numerose». L’assegno sinora era riservato agli italiani e ai cittadini europei. Di sicuro, un ulteriore peso sulla previdenza non risolleverà le casse vuote dell’Istituto guidato da Antonio Mastrapasqua.
Fonte: Libero del 27/08/2013

Gioco, riciclaggio e ora l'evasione: scacco allo Stato


Gioco d’azzardo e riciclaggio camminano mano nella mano, assieme all’evasione fiscale che è sempre alla ricerca di “buoni” compagni di viaggio. Lo testimoniano varie inchieste penali, e ieri l’ha denunciato anche l’associazione Contribuenti italiani nel corso d’un seminario svoltosi a Bari proprio sul tema “Riciclaggio, gioco d’azzardo ed evasione fiscale”. Durante il confronto sono stati illustrati i risultati di un’indagine condotta dal Centro studi e ricerche sociologiche "Antonella Di Benedetto" di Krls Network of Business Ethics, per conto di Contribuenti.it che è il magazine dell’associazione Contribuenti italiani. Secondo le rilevazioni effettuate lo scorso luglio dal centro "Di Benedetto", pure il gioco d’azzardo porta a galla strani episodi legati a possibili raggiri ai danni del Fisco. «Il 54% dei giocatori è nullatenente – chiariscono dall’Associazione contribuenti – mentre un ulteriore 31% dichiara al fisco di guadagnare meno di 10.000 euro all’anno. In pratica l’85% dei giocatori è povero e molti di loro hanno la social card. Un dato che stride con le giocate effettuate ogni anno soprattutto se confrontate con le dichiarazione dei redditi dei giocatori». L’indagine informa, inoltre, che in Europa l’Italia ha il primato per la maggior cifra giocata al tavoli da gioco: in media 2.430 euro a persona che vengono sottratti all’economia reale. I dati inglobano anche le giocate dei minorenni che, secondo il presidente di Contribuenti.it, Vittorio Carlomagno, in tre anni sono passati da 860 mila a 4,2 milioni. Solo nel 2013 l’incremento è stato del 14,6%. A questa fascia, secondo l’indagine, è attribuibile il 37% di tutte le giocate.

«L’erario si preoccupa più di fare cassa che combattere l’evasione fiscale – insiste Carlomagno – accertando i giocatori nullatenenti». Ancora altri dati utili a tratteggiare ulteriormente l’imponenza e quindi la pericolosità del fenomeno: i giocatori in Italia sono 33,2 milioni, di cui 8,4 milioni giocano con frequenza settimanale. Il giro di affari, nel 2013, potrebbe superare i 100 miliardi di euro l’anno, in forte crescita rispetto agli 85 miliardi di euro del 2012, ai 78 del 2011 e agli appena 16 del 2003. Spulciando il dossier del centro studi "Antonella Di Benedetto", emerge che i giocatori più incalliti sono quelli residenti in Molise con il 57%, segue la Campania con il 51% e la Sicilia col 50,7%. In coda i residenti in Trentino Alto Adige con il 31,9%. L’associazione Contribuenti italiani va oltre l’analisi, proponendo misure per combattere il gioco d’azzardo, l’evasione fiscale e il riciclaggio. Ad esempio il divieto del gioco d’azzardo in tutti i locali pubblici e l’applicazione annuale del redditometro a tutti i giocatori, dopo la loro identificazione e l’accertamento delle giocate. Così, a detta dell’organismo, si potrebbero evitare l’approccio dei minorenni ed episodi di riciclaggio, usura ed evasione fiscale. Un’ulteriore proposta per combattere l’evasione fiscale e rilanciare l’economia del Paese è applicare su tutti i giochi legalizzati un’imposta unica sostitutiva pari al 50% delle vincite, che potrebbero pure essere tassate in dichiarazione dei redditi con l’aliquota ordinaria.
Fonte: Avvenire del 28/08/2013

domenica 25 agosto 2013

I cinesi evadono 4 miliardi di euro

La procura di Firenze indaga su una maxi evasione di 287 imprenditori cinesi che dall'Italia hanno spedito diversi miliardi di euro a Pechino beffando il fisco.

 

 I cinesi d'Italia beffano il fisco: hanno evaso 4 miliardi di euro, 
la stessa somma dell'Imu

 

All'appello mancano 4 miliardi. E' questa la somma che manca nelle casse dell'erario secondo la procura di Firenze che indaga su una maxi evasione fiscale di diversi imprenditori cinesi che lavorano nel nostro Paese. Secondo la procura 4 miliardi negli ultimi 5 anni hanno seguito la via della seta fino ad arrivare in Cina. Ovviamente senza lasciare traccia in Italia. Per gli imprenditori cinesi di Prato e provincia l'accusa è di maxi-riciclaggio. Secondo la procura i soldi che mancano nelle casse dello Stato sarebbero stati guadagnati nel nostro Paese da imprenditori cinesi grazie allo sfruttamento di manodopera in nero, alla contraffazione di marchi italiani e soprattutto grazie all'evasione fiscale. Del caso se n'è occupata Repubblica qualche giorno fa ricostruendo le transazioni che dall'Italia partivano per la Cina. Tutti piccoli versamenti da 1999 euro per evitare i controlli che automaticamente scattano per transazioni dai 2000 euro in su. 
L'Imu cinese - Ma a vigilare su questo mare di denaro che viaggiava da ovest a est c'era anche la Banca d'Italia che ha ravvisato diversi flussi sospetti negli ultimi anni, soprattutto nel periodo che va dal 2006 al 2010. Da Prato sono partiti in un solo anno 430 milioni di euro. Gli indagati dalla procura di firenze sono 287, in maggioranza sono imprenditori cinesi. Considerando tutto il denaro che dall'Italia è andato a finire nelle banche di Pechino, il conto presentato dalla procura di Firenze fa paura: 4.501.198.227,58 miliardi di euro. Una somma che equivale al gettito dell'Imu sulla prima casa. In un momento in cui lo Stato ha difficoltà a trovare le risorse per mettere in moto la crescita e con fare invadente svuota le tasche degli italiani, 4 miliardi di euro recuperati dalla presunta evasione degli imprenditori cinesi di certo farebbero comodo. La lotta all'evasione va detto va fatta anche sul fronte interno. Ma considerando i bilanci perennemente in attivo delle aziende cinesi che operano sul nostro territorio, una maggiore attenzione su queste potrebbe arrestare l'illegale fuga di denaro che da Roma porta dritti dritti a Pechino. L'Imu cinese non vorremmo più pagarla. 
Fonte : Libero Quotidiano 04/06/2013

domenica 28 luglio 2013

I comuni ricicloni salernitani utilizzano buste “tracciabili”




Un'azienda napoletana è la prima azienda campana a produrre in serie buste con i codici a barre.
Ora i rifiuti domestici si tracciano. E sono i comuni ricicloni della provincia di Salerno a chiedere per primi i sacchetti di plastica per la differenziata con il codice a barre, che permette di tracciarne il percorso e introdurre premialità per i cittadini virtuosi.
Castel San Giorgio ad esempio, ha già avviato un ordine all'azienda napoletana,  per i sacchetti della differenziata “intelligenti”. L'azienda napoletana è la prima azienda in Campania, e tra le prime in Italia, a lanciare il sistema del codice a barre sui sacchetti per la raccolta differenziata. Il sistema innovativo, che serve a tracciare lo smaltimento dei rifiuti e a incrementare la raccolta differenziata, è destinato a “rivoluzionare i rapporti tra le amministrazioni locali e gli utenti, segnalando a livello di nucleo familiare la corretta differenziazione dei rifiuti di casa”.
In una Regione come la Campania,simbolo di una gestione dei rifiuti non sempre brillante, è un altro traguardo. Il servizio è stato già sperimentato con successo all’inizio di giugno dal comune di Torre del Greco, che si è avvalso dei sacchetti “intelligenti” . Dopo la sperimentazione l’azienda fa sapere di aver avuto già commesse dai comuni di Castel San Giorgio (Salerno) e Castel Morrone (Ce), noti per le altissime percentuali di raccolta differenziata, e che sta ricevendo molte altre richieste da comuni con le stesse caratteristiche.
Fonte: "La Città di Salerno"