sabato 31 agosto 2013

Siria: il bluff dell'occidente rischia di trascinare il mondo nel baratro di Stefano Vernole - 29/08/2013 Fonte: eurasia







In queste ore drammatiche il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama deve decidere se concedere il via libera al piano di attacco elaborato dagli strateghi militari del Pentagono.
Questi ultimi, tutt’altro che convinti della necessità di entrare in guerra, hanno infatti predisposto un tipo di intervento (condotto con il lancio di missili Cruise dalle portaerei statunitensi) estremamente limitato, da esaurirsi nel giro di tre giorni e a zero perdite per i propri soldati.
Sembra in effetti la riedizione della guerra del Kosovo (1999) richiamata da alcuni analisti in questi giorni, in quanto anche allora l’ex capo della Casa Bianca Bill Clinton si illuse che dopo due o tre giorni di bombardamenti aerei della NATO l’ex Presidente serbo Slobodan Milosevic si sarebbe arreso.
Quell’aggressione, condotta col pretesto delle “motivazioni umanitarie” e senza il via libera delle Nazioni Unite, durò in realtà 78 giorni e produsse alcuni effetti destinati a cambiare la geopolitica mondiale.
Le ricadute più rilevanti si manifestarono paradossalmente in Russia (che vide nella disgregazione della ex Jugoslavia lo specchio di quanto le sarebbe accaduto a breve se non avesse reagito), dove i servizi di sicurezza decisero nello spazio di pochi mesi di liquidare il corrotto Boris Eltsin (da tempo asservito alle potenze occidentali) e di condurre alla guida del Cremlino Vladimir Putin, un Presidente che le avrebbe restituito orgoglio e dignità.
Da questo punto di vista si può dire che il sacrificio dei Serbi servì alla salvezza dei Russi.
Se quindi l’occupazione del Kosovo e Metohija servì agli USA quale nuovo trampolino di lancio verso il Mar Caspio e il Vicino e Medio Oriente, fu però proprio allora che iniziò quella strategia di riscossa delle potenze eurasiatiche che ha mutato profondamente gli equilibri geopolitici del pianeta.
I tentativi di spezzare l’alleanza tra Mosca e Pechino sono risultati vani e la resistenza della Siria di Assad negli ultimi due anni è uno dei tanti fattori che gioca a suo favore.
Oggi, sotto la spinta del rinnovato attivismo saudita e in particolare del suo capo dei servizi segreti Bandar Bin Sultan, gli Stati Uniti si trovano a giocare una partita estremamente complessa e pericolosa.
Complessa perché è chiaro che la rielezione di Obama è stata resa possibile solo dopo la sua accettazione dell’antico progetto bushiano, che prevede l’edificazione del Nuovo (Grande) Medio Oriente sotto controllo nordamericano.
Fallita la carta “morbida” giocata con le “rivoluzioni arabe”, non rimaneva all’Amministrazione statunitense che riaggrapparsi alla sua unica certezza, quella costituita da un apparato militare che – nonostante il declino strategico statunitense – continua a rimanere imponente.
Ecco quindi la guerra alla Libia di Gheddafi, l’aggressione alla Siria di Assad (delegata temporaneamente da Washington ai suoi alleati regionali), i colpi di stato e la destabilizzazione dei paesi africani come la Somalia, la Costa D’Avorio, il Mali e il Sudan per fronteggiare l’avanzata cinese.
Con la prospettiva finale di colpire e mutare l’Iran, con le buone e con le cattive maniere, per controllarne le risorse energetiche e stritolare le potenze eurasiatiche rendendole dipendenti dall’acquisto di dollari ormai “carta straccia”.
Partita complessa anche per motivi strettamente “tecnici”.
Tutte le dispendiose guerre condotte dal 1991 ad oggi non hanno portato a Washington i frutti sperati.
Che si tratti dell’Iraq, dove gli sciiti al governo non solo parteggiano per la Siria di Assad ma privilegiano Cina ed India nelle forniture di petrolio, che si tratti dell’Afghanistan dove il Presidente Karzai non vede l’ora di liberarsi del controllo statunitense per rivolgersi a Pechino e a Nuova Delhi, che si tratti della piccola Serbia o addirittura dell’Egitto che tornano a guardare verso Mosca, questi conflitti hanno esaurito la spinta propulsiva degli Stati Uniti e dimostrato la loro inadeguatezza quali leader mondiali.
L’economia USA si trova alle prese con una nuova scadenza che il prossimo mese la costringerà ad innalzare a 17.000 miliardi di dollari il tetto del proprio debito per evitare il fallimento del paese, mentre le principali banche nordamericane vengono declassate dalle stesse agenzie di rating statunitensi e la prospettiva di un ulteriore “settembre 2008” si avvicina pericolosamente.
Ma la partita che Obama si appresta a giocare è anche molto pericolosa.
Se questi probabili due-tre giorni di attacchi missilistici sulla Siria dovessero avere luogo, non è invece facilmente prevedibile quanto potrà accadere.
Il calcolo statunitense è riassumibile nella volontà e nella prospettiva, tutta mediatica, di voler riaffermare al mondo che gli Stati Uniti con i loro alleati sono ancora la guida del pianeta e che la sfida lanciata da Mosca e da Pechino – manifestatasi platealmente con il “caso Snowden” – può essere vinta.
Gli analisti del Council on Foreign Relations e del Pentagono ritengono che la Siria non disponga di misure di reazione efficaci e che dopo questa lezione “morale” pian piano il governo di Assad verrà sgretolato, subendo l’analoga sorte di quello guidato da Milosevic (deposto un anno dopo la fine dell’intervento militare).
Questo calcolo dimentica però il mutamento della situazione geopolitica rispetto al 1999; se allora la Serbia si trovava isolata e venne difesa solo diplomaticamente da Russia e Cina, oggi la Siria di Assad si trova in una situazione decisamente più favorevole.
Teheran, innanzitutto, è legata a Damasco da un’alleanza di carattere militare che in caso di aggressione statunitense si estenderebbe automaticamente anche a Hizbollah in Libano.
Israele, in particolare, si troverebbe esposto ad una possibile rappresaglia iraniana e quello che è stato progettato per essere un intervento limitato rischierebbe di trasformarsi in una guerra regionale dalle conseguenze imprevedibili.
Tel Aviv, che non dimentica la lezione ricevuta in Libano nel 2006 e la figuraccia rimediata a Gaza nel 2009, desidererebbe forse intraprendere una nuova avventura ma diverrebbe l’agnello sacrificale dell’imperialismo statunitense.
Difficilmente Turchia e Arabia Saudita, che a parole smaniano di venire alle mani con la Siria, potrebbero partecipare ad una coalizione a fianco dei soldati di Tel Aviv.
Le rappresaglie di Russia e Cina nei loro confronti, poi, potrebbero essere non solo economiche ma anche militari, e sia ad Ankara che a Riyad sanno bene come la loro alleanza con gli Stati Uniti non rivesta più per Washington un carattere strategico.
L’umiliazione subita dalla Georgia nel 2008 è ancora un vivo ricordo e solo dei disperati come Hollande e Cameron possono sperare di far dimenticare i propri guai interni con un nuovo conflitto.
Ecco quindi che Obama si trova alle prese con un dilemma tutt’altro che facile: essere un nuovo Gorbaciov e traghettare in maniera pacifica l’inevitabile ridimensionamento statunitense o sognare di essere un nuovo Roosevelt, nell’illusione che una rinnovata “economia di guerra” possa rilanciare un paese ormai industrialmente destrutturato e finanziariamente fallito.
Ai siriani il difficile e gravoso compito di resistere, per consentire l’emergere definitivo del nuovo sistema multipolare non più a guida angloamericana e nel quale le controversie internazionali potrebbero non essere più risolte a colpi di cannoniere.

mercoledì 28 agosto 2013

Siria ed Egitto come la Libia: islamisti campioni di inganni

I Fratelli musulmani hanno costruito notizie toccanti per spingere l'Occidente a (disastrosi) interventi.

 
La fiducia è una cosa seria. Riservata alle persone serie. Il rischio in Siria è, invece, di schierarci con chi si fa beffe della nostra fiducia, della nostra buona fede e della nostra disponibilità alla compassione. Tutti temi in cui la Fratellanza musulmana, artefice della ribellione, ha una consolidata tradizione.
Dalla Fratellanza musulmana nasce Hamas, l'organizzazione maestra nell'innescare le rappresaglie israeliane e moltiplicarne poi il numero delle vittime. Alla Fratellanza erano legati i militanti di Bengasi trasformati in protetti della Nato grazie alle «bufale» di Al Jazeera.
Alla Fratellanza appartengono i militanti egiziani pronti a piangere centinaia di «fratelli» caduti, ma anche a ospitare nei propri cortei - come documentano le foto esclusive de Il Giornale - gli armati chiamati a sparare sui militari e a innescarne la reazione.
E Fratelli musulmani sono quei rivoltosi siriani puntualissimi nel denunciare un attacco con i gas perfettamente «sincronizzato» con l'arrivo a Damasco degli ispettori Onu chiamati ad indagare sulle armi chimiche.

Hamas e le resurrezioni di Jenin e Gaza

Nell'aprile 2002 quattro militanti di Hamas portano a spalla una barella con un cadavere coperto da una bandiera dell'organizzazione nata da una costola della Fratellanza Musulmana. Siamo a Jenin, la città dove per dieci giorni Israele ha stretto d'assedio i militanti palestinesi. D'improvviso i quattro inciampano e barella e «defunto» franano a terra. A rialzarsi però non sono, come documentano le riprese di un drone israeliano, solo i quattro barellieri, ma anche il «cadavere» prontissimo a risaltare nella lettiga. La mesta processione precipita nuovamente nel grottesco quando i quattro tornano ad inciampare e il «morto» torna a «rialzarsi» terrorizzando un gruppo di civili convinti di aver davanti uno zombie. La farsa inscenata da Hamas per moltiplicare i 54 caduti palestinesi dell'assedio di Jenin si ripete negli anni a venire. L'ultima rappresentazione va in scena a Gaza nel novembre 2012. Anche lì una presunta vittima delle bombe israeliane, un uomo in giacca beige e maglietta nera trascinato dai soccorritori, riprende vita al termine delle immagini destinate alla Bbc. Poi si rialza, si guarda attorno e soddisfatto s'allontana.

Le finte fossi comuni di Al Jazeera in Libia

In Libia nel 2011 i video e le immagini fornite dai ribelli ad Al Jazeera e Al Arabya spingono le opinioni pubbliche occidentali ad appoggiare la richiesta di una «no fly zone» santificata dal voto dell'Onu e realizzata dalla Nato. I falsi storici con cui l'emittente del Qatar prepara il terreno a un intervento militare «indispensabile» per fermare i «massacri» di Gheddafi sono due. Il primo nel febbraio 2011 documenta un presunto intervento dei Mig del Colonnello scesi in picchiata nelle strade della capitale per mitragliare i dimostranti. La notizia è palesemente falsa, ma l'Occidente se la beve come un caffelatte a colazione. Così, subito dopo, si ritrova servite le immagini di un cimitero spacciato per fossa comune in cui verrebbero sepolti gli oppositori uccisi dalle milizie governative. Non è vero niente, ma intanto il Colonnello diventa un mostro sanguinario. Un mostro da eliminare con l'aiuto di un Occidente obbligato a difendere i più deboli e chiamato ad instaurare libertà e democrazia.

Egitto, i cortei armati dei Fratelli Musulmani

Queste foto, parte di un dossier esclusivo fornito a Il Giornale, dimostrano come la reazione dell'esercito sia stata innescata dai militanti di Hamas armati di pistole e kalashnikov. I militanti mascherati vengono mandati a sparare contro le postazioni dei militari dopo essersi mescolati ai cortei di protesta della Fratellanza Musulmana. Gli uomini armati utilizzano i dimostranti come scudo innescando la reazione dei militari che causerà centinaia di vittime. La presenza dei militanti armati cambia la dinamica di un massacro attribuito al cinismo di una cricca di generali pronta a tutto pur di costringere alla resa i sostenitori del deposto presidente Morsi.

Siria, il gas stermina i bimbi e risparmia i soccorritori

Le immagini di Ghouta, la località dove il governo avrebbe usato i gas sono devastanti dal punto di vista emozionale, ma assai ambigue dal punto di vista documentale. La contraddizione più evidente è la mancanza di protezioni da parte dei presunti sanitari arrivati a soccorrere le vittime. L'altra è la sistematica plateale teatralità con cui i bambini deceduti vengono allineati davanti agli obbiettivi. Ad Halabja nel marzo 1988 i gas di Saddam non fecero distinzione tra vittime e soccorritori e sterminarono chiunque non si fosse allontanato. A Ghouta nessuno fugge, non c'è un clima di panico e gli ospedali continuano a funzionare. L'impressione è di un attacco circostanziato e molto limitato. E questo fa sorgere due grossi interrogativi. Perché Assad avrebbe atteso due anni e mezzo prima di usare i gas salvo poi impiegarli sotto gli occhi degli osservatori dell'Onu? E soprattutto perché incominciare da una zona dove il regime non è militarmente in difficoltà e dove non viene sfruttato il vantaggio tattico offerto dall'arma chimica per riconquistare il territorio e nascondere le prove?
Fonte : Il Giornale del 27/08/2013

L'idea della Kyenge ora è legge: "Accesso all'impiego pubblico per chi ha il permesso di soggiorno"

Nel silenzio dell'estate è passata la modifica alla legge per l'accedere all'impiego pubblico. Ora rifugiati, immigrati senza cittadinanza potranno lavorare in scuole e ospedali

 

Dal 4 settembre anche chi non ha ancora la cittadinanza italiana potrà lavorare nella Pubblica Amministrazione. A spalancare le porte del pubblico impiego  agli immigrati è la legge europea 2013 che lo scorso 20 agosto è arrivata sulla nostra gazzetta ufficiale. La norma non lascia spazio ad interpretazioni e prevede l’accesso all’impiego nella Pubblica Amministrazione anche per chi ha un permesso di soggiorno di lungo periodo, lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria.
Non importa che chi lavori nella nostra amministrazione sia italiano. Per la legge europea basta il permesso di soggiorno. Una norma, quella recepita da Bruxelles con cui l’Italia si è allineata alla normativa dell’Unione Europea per evitare che scattasse la procedura d’infrazione. L’accelerazione per l’approvazione delle nuove norme comunitarie arriva anche dopo il pressing del ministro dell’Integrazione Cècile Kyenge, che prima a febbraio poi a maggio già voleva far entrare in vigore la legge per gli “immigrati statali” entro i primi 100 giorni di governo: «Intendo portare avanti una legge che sarà la garanzia di accesso per i migranti ai posti nella pubblica amministrazione, su esempio di ciò che furono in le americane affermative action, politiche già applicate in Gran Bretagna. È ora che si adegui anche l’Italia», aveva detto il ministro. Le sue parole ora sono legge. 
Va chiarito però un punto. La legge europea prevede che gli immigrati non possano ricoprire ruoli professionali che «implicano esercizio diretto o indiretto di poteri pubblici o che attengano alla tutela dell’interesse nazionale». Non potranno cioè fare i militari, i poliziotti o i magistrati. Però secondo il Centro Lavoratori Stranieri della Cgil di Modena «potranno  accedere ai concorsi per insegnante, impiegato comunale, medico o infermiere». Quindi secondo i sindacati le affermative act inglesi saranno applicate in salsa italiana. 
La legge d’Oltremanica prevede infatti misure di tutela con quote di impiego “bloccate” per chi appartiene a minoranze. Durante la discussione per l’approvazione della norma, Pd, Sel e M5S hanno presentato in commissione emendamenti per allargare le maglie del disegno di legge europea. La proposta dei democratici, poi bocciata, prevedeva l’accesso al pubblico impiego anche per gli immigrati «che siano titolari di un permesso di soggiorno che consente lo svolgimento di attività lavorativa». Una sorta di apertura totale del mercato del lavoro statale a tutti gli immigrati presenti sul nostro territorio. Se fosse passata la linea del Pd, per accedere ad un concorso pubblico sarebbe bastato un semplice permesso lavorativo senza i paletti imposti da Bruxelles che almeno prevedono una «lunga permanenza» nel Paese in questione prima di poter accedere agli impieghi statali. 
La legge europea parla chiaramente di tre tipologie di permesso. Il primo è quello a “lunga permanenza”. Questo tipo di permesso di soggiorno è a tempo indeterminato e può essere richiesto solo da chi possiede un ulteriore permesso di soggiorno da almeno 5 anni. Poi c’è il permesso di protezione sussidiaria, ha una validità di 3 anni e può essere richiesto da tutti coloro che non possono dimostrare una persecuzione personale ma si ritiene che rischino di subire un danno grave (condanna a morte, tortura, minaccia alla vita in caso di guerra interna o internazionale) se rientrassero nel proprio Paese. Infine c’è lo status di rifugiato che viene concesso secondo la convenzione di Ginevra a coloro che non possono o non vogliono tornare nel loro Paese perché temono persecuzioni. Per richiedere il riconoscimento dello “status di rifugiato” è necessario presentare una domanda motivata e documentata, con l’indicazione delle persecuzioni subite e delle possibili ritorsioni in caso di rientro nel proprio paese. 
Le buone notizie per gli immigrati non finiscono qui. Sempre dal 4 settembre, come sottolinea la Cgil, «chi ha un permesso di soggiorno e ha a carico almeno 3 figli, ed è a basso reddito avrà diritto all’assegno Inps per le famiglie numerose». L’assegno sinora era riservato agli italiani e ai cittadini europei. Di sicuro, un ulteriore peso sulla previdenza non risolleverà le casse vuote dell’Istituto guidato da Antonio Mastrapasqua.
Fonte: Libero del 27/08/2013

Gioco, riciclaggio e ora l'evasione: scacco allo Stato


Gioco d’azzardo e riciclaggio camminano mano nella mano, assieme all’evasione fiscale che è sempre alla ricerca di “buoni” compagni di viaggio. Lo testimoniano varie inchieste penali, e ieri l’ha denunciato anche l’associazione Contribuenti italiani nel corso d’un seminario svoltosi a Bari proprio sul tema “Riciclaggio, gioco d’azzardo ed evasione fiscale”. Durante il confronto sono stati illustrati i risultati di un’indagine condotta dal Centro studi e ricerche sociologiche "Antonella Di Benedetto" di Krls Network of Business Ethics, per conto di Contribuenti.it che è il magazine dell’associazione Contribuenti italiani. Secondo le rilevazioni effettuate lo scorso luglio dal centro "Di Benedetto", pure il gioco d’azzardo porta a galla strani episodi legati a possibili raggiri ai danni del Fisco. «Il 54% dei giocatori è nullatenente – chiariscono dall’Associazione contribuenti – mentre un ulteriore 31% dichiara al fisco di guadagnare meno di 10.000 euro all’anno. In pratica l’85% dei giocatori è povero e molti di loro hanno la social card. Un dato che stride con le giocate effettuate ogni anno soprattutto se confrontate con le dichiarazione dei redditi dei giocatori». L’indagine informa, inoltre, che in Europa l’Italia ha il primato per la maggior cifra giocata al tavoli da gioco: in media 2.430 euro a persona che vengono sottratti all’economia reale. I dati inglobano anche le giocate dei minorenni che, secondo il presidente di Contribuenti.it, Vittorio Carlomagno, in tre anni sono passati da 860 mila a 4,2 milioni. Solo nel 2013 l’incremento è stato del 14,6%. A questa fascia, secondo l’indagine, è attribuibile il 37% di tutte le giocate.

«L’erario si preoccupa più di fare cassa che combattere l’evasione fiscale – insiste Carlomagno – accertando i giocatori nullatenenti». Ancora altri dati utili a tratteggiare ulteriormente l’imponenza e quindi la pericolosità del fenomeno: i giocatori in Italia sono 33,2 milioni, di cui 8,4 milioni giocano con frequenza settimanale. Il giro di affari, nel 2013, potrebbe superare i 100 miliardi di euro l’anno, in forte crescita rispetto agli 85 miliardi di euro del 2012, ai 78 del 2011 e agli appena 16 del 2003. Spulciando il dossier del centro studi "Antonella Di Benedetto", emerge che i giocatori più incalliti sono quelli residenti in Molise con il 57%, segue la Campania con il 51% e la Sicilia col 50,7%. In coda i residenti in Trentino Alto Adige con il 31,9%. L’associazione Contribuenti italiani va oltre l’analisi, proponendo misure per combattere il gioco d’azzardo, l’evasione fiscale e il riciclaggio. Ad esempio il divieto del gioco d’azzardo in tutti i locali pubblici e l’applicazione annuale del redditometro a tutti i giocatori, dopo la loro identificazione e l’accertamento delle giocate. Così, a detta dell’organismo, si potrebbero evitare l’approccio dei minorenni ed episodi di riciclaggio, usura ed evasione fiscale. Un’ulteriore proposta per combattere l’evasione fiscale e rilanciare l’economia del Paese è applicare su tutti i giochi legalizzati un’imposta unica sostitutiva pari al 50% delle vincite, che potrebbero pure essere tassate in dichiarazione dei redditi con l’aliquota ordinaria.
Fonte: Avvenire del 28/08/2013

domenica 25 agosto 2013

I cinesi evadono 4 miliardi di euro

La procura di Firenze indaga su una maxi evasione di 287 imprenditori cinesi che dall'Italia hanno spedito diversi miliardi di euro a Pechino beffando il fisco.

 

 I cinesi d'Italia beffano il fisco: hanno evaso 4 miliardi di euro, 
la stessa somma dell'Imu

 

All'appello mancano 4 miliardi. E' questa la somma che manca nelle casse dell'erario secondo la procura di Firenze che indaga su una maxi evasione fiscale di diversi imprenditori cinesi che lavorano nel nostro Paese. Secondo la procura 4 miliardi negli ultimi 5 anni hanno seguito la via della seta fino ad arrivare in Cina. Ovviamente senza lasciare traccia in Italia. Per gli imprenditori cinesi di Prato e provincia l'accusa è di maxi-riciclaggio. Secondo la procura i soldi che mancano nelle casse dello Stato sarebbero stati guadagnati nel nostro Paese da imprenditori cinesi grazie allo sfruttamento di manodopera in nero, alla contraffazione di marchi italiani e soprattutto grazie all'evasione fiscale. Del caso se n'è occupata Repubblica qualche giorno fa ricostruendo le transazioni che dall'Italia partivano per la Cina. Tutti piccoli versamenti da 1999 euro per evitare i controlli che automaticamente scattano per transazioni dai 2000 euro in su. 
L'Imu cinese - Ma a vigilare su questo mare di denaro che viaggiava da ovest a est c'era anche la Banca d'Italia che ha ravvisato diversi flussi sospetti negli ultimi anni, soprattutto nel periodo che va dal 2006 al 2010. Da Prato sono partiti in un solo anno 430 milioni di euro. Gli indagati dalla procura di firenze sono 287, in maggioranza sono imprenditori cinesi. Considerando tutto il denaro che dall'Italia è andato a finire nelle banche di Pechino, il conto presentato dalla procura di Firenze fa paura: 4.501.198.227,58 miliardi di euro. Una somma che equivale al gettito dell'Imu sulla prima casa. In un momento in cui lo Stato ha difficoltà a trovare le risorse per mettere in moto la crescita e con fare invadente svuota le tasche degli italiani, 4 miliardi di euro recuperati dalla presunta evasione degli imprenditori cinesi di certo farebbero comodo. La lotta all'evasione va detto va fatta anche sul fronte interno. Ma considerando i bilanci perennemente in attivo delle aziende cinesi che operano sul nostro territorio, una maggiore attenzione su queste potrebbe arrestare l'illegale fuga di denaro che da Roma porta dritti dritti a Pechino. L'Imu cinese non vorremmo più pagarla. 
Fonte : Libero Quotidiano 04/06/2013